La casa di Dio tra le case degli uomini

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Chiunque entri nella nostra Chiesa parrocchiale, specialmente quando è immersa nel silenzio, non può non rimanere colpito dalla sua esuberante ricchezza architettonica. Ovunque si soffermi lo sguardo, il suo stile barocco racconta della devozione a Maria attraverso particolari tutti da scoprire: affreschi, statue, ornamenti, dipinti, decori, bassorilievi, vetrate… Qualcuno ha contato ben 15 diverse immagini dell’Assunta e sicuramente gliene sarà sfuggita qualcuna!

Tra pochi giorni inizieranno i festeggiamenti per i trecento anni della consacrazione della Chiesa, avvenuta il 30 ottobre 1712, come si può leggere sulla lapide posta subito all’ingresso sulla parete di sinistra. L’antica “Pieve” medievale (o “Chiesa matrice” o “Plebana”, a cui erano riservate alcune funzioni liturgiche e dalla quale dipendevano altre chiese e cappelle prive di battistero) a tre navate, di modeste dimensioni, ma ricca e fiorente, fu infatti saccheggiata e privata dei suoi tesori durante l’incursione saracena del 15 luglio 1549, come ricorda un’altra lapide nella sacrestia. Sotto la guida dell’Arciprete Antonio Pizzorno, la precedente costruzione pericolante venne demolita e ricostruita ad una sola navata, come è ancora tutt’oggi. I lavori iniziarono nel 1688 e la nuova chiesa, spazio privilegiato dell’incontro con Dio, venne appunto consacrata nel 1712 dall’allora Vescovo di Savona, Monsignor Vincenzo Durazzo.

Con un po’ di fantasia possiamo provare ad immaginarcela com’era a quei tempi: eccola spiccare, accanto al suo campanile, tra campi coltivati ed umili case di contadini, che costituivano la “villa” (cioè le case sparse, come ancora adesso “ville” sono chiamate le abitazione agricole) di Prà. Un bell’affresco dedicato alla Madonna, adesso appena riconoscibile accanto all’ingresso laterale, la faceva individuare facilmente da coloro che raggiungevano la grande Genova via mare, e non erano pochi, visto che questo era allora il modo più sicuro per spostarsi evitando le imboscate dei briganti…

 In trecento anni infinite storie umane di fede, sofferenza e gioia hanno lasciato scie luminose in questa casa di Dio tra le case degli uomini: chi l’ha via via abbellita, chi l’ha restaurata con passione, chi vi ha posto altari dedicati ai santi protettori del proprio lavoro, o più semplicemente tutti coloro che nel Signore si sono promessi amore per la vita intera, hanno presentato i propri figli appena nati alla comunità ecclesiale, hanno voluto infine rendere qui l’ultimo saluto terreno.

 L’esistenza di ogni odierno abitante di Prà è così in qualche modo intrecciata alle storie di tutte queste persone che l’hanno preceduto. Se noi siamo quel che siamo oggi lo dobbiamo anche a loro. É quindi importante riandare pian piano a quelle vite, se vogliamo capire chi siamo davvero noi oggi, se vogliamo cominciare a scoprire lo sconosciuto che viene dai tempi lontani e che perciò da sempre abita in noi.

Proprio come nel racconto evangelico di Emmaus, trovarci compagni di viaggio di Gesù che, attraverso il volto dello straniero, rivela a noi stessi lo sconosciuto che siamo a noi stessi. Ritrovare la nostra identità più vera non ci servirà per sentirci migliori, ma a darci la consapevolezza necessaria per avere un maggior rispetto ed una nuova curiosità per la storia degli altri. Nascerà così una gioia semplice per il nostro vivere quotidiano: quella di stupirci di come l’infinita umanità che è al cuore stesso di Dio sia una lunga e continua ricerca d’amore che attraversa la storia.

Questo è il senso del percorso di riflessione che la Comunità Parrocchiale vuole proporre a tutti noi, attraverso i diversi eventi di fede ed occasioni d’incontro che, durante l’anno del trecentesimo, si succederanno da qui al 30 ottobre del 2012.

Remo

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