Sete di Parola > Sete di Parola dal 12 al 18 Ottobre 2014

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Sete di Parola dal 12 al 18 Ottobre 2014

Ventottesima Settimana del Tempo Ordinario dell’Anno A

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Domenica 12 Settembre 2014 > Domenica della Ventottesima Settimana del Tempo Ordinario

Liturgia della Parola > Is 25,6-10; Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

.… è meditata

Non c’è il due senza il tre, dice il proverbio. Eccoci infatti davanti alla terza parabola di quel trittico che Matteo ha abilmente disposto nel suo racconto, pochi versetti dopo l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme. Il tema è lo stesso delle due parabole precedenti: l’accoglienza o il rifiuto di Gesù.
Il testo di questa domenica si presenta ricco di particolari e di colpi di scena. Al centro di tutto c’è il re. L’occasione del banchetto è il matrimonio del figlio, di cui però non si dice nulla. E’ il re che parla, ordina, giudica. Il primo colpo di scena sta nel rifiuto degli invitati alle nozze. Ma come? S’è mai visto qualcuno rifiutare un invito a un banchetto regale? E la cosa che lascia ancora più stupiti sono le motivazioni: uno va nel campo e quell’altro a badare ai propri affari. E se non bastasse, qualcuno se la prende pure con i servi, li bastona e li uccide. E’ chiaro che, come la scorsa settimana, Gesù sta rileggendo la storia di rifiuto e di violenza toccata ai profeti e a Giovanni Battista, questa forse è la ragione del ricorrente doppio invio dei servi. Ma questo rifiuto appare provvidenziale perché apre all’accoglienza di quelli che non erano preparati e che vengono raccattati per le strade. Buoni o cattivi, belli o brutti non fa problema. E la sala si riempie di invitati. Evvai con la festa! Fino a qui tutto sembra chiaro e lineare: c’è chi rifiuta e chi accoglie l’invito. Ma d’improvviso scatta un nuovo colpo di scena: il re passa tra gli invitati, ne trova uno senza abito nuziale, lo fa legare e dopo averlo rimproverato, lo fa buttare fuori dalla festa. Ma come? Certo che non ha l’abito nuziale – verrebbe da dire – è stato raccattato per strada! Ovviamente la parabola non vuole mettere in luce la folle pretesa del re, quanto piuttosto sottolineare il rischio dei commensali di sentirsi “garantiti” per il semplice fatto di trovarsi lì. Ancora una volta il Rabbì di Nazareth ci scuote e ci obbliga a guardarci allo specchio per dirci la verità sulla nostra vita e sulla nostra fede. Nessuno può credersi garantito e arrivato. Nessuno può dirsi certificato per il Regno. La Sua Parola ci vuole svestire da quella religiosità fatta di abitudini vuote, di riti che non celebrano più nulla, di quella religiosità triste e moralistica di cui spesso – troppo spesso! – siamo imbevuti. La Sua Parola ci vuole mettere a nudo, o forse farci capire che nudi già lo siamo e che lo Spirito è pronto a rivestirci dell’abito di nozze. E penso a te, amico che non trovi più una ragione per ricominciare. A te che per un errore sei stato allontanato dalla famiglia. A te che non sai più sperare. A te che la malattia sta portando via tutto. A te che per amore stai dicendo un “sì” importante. A te che cerchi di fare del tuo quotidiano un canto di lode a Dio. A te che dopo tanti sacrifici ti ritrovi a mani vuote. Per tutti risuoni ancora l’invito al banchetto del Figlio e il Signore ci trovi rivestiti con l’abito di nozze!

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Dio è Colui che “chiama”. L’uso ripetuto del verbo non lascia spazio a dubbi: Dio “chiama” continuamente alla sua festa. Il bello è che non si arrende quando i “chiamati” declinano. Dio riparte alla carica e “chiama” altri, cattivi e buoni, pur di raggiungere l’obiettivo di avere invitati alla festa. Condividere la gioia per le nozze di suo figlio, con quanti sono stati chiamati, è l’occupazione principale del re.

… è pregata

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

MI IMPEGNA

Dio ci accoglie come siamo, anzi ci viene a cercare là dove ci siamo cacciati con le nostre infedeltà, lascia che entriamo al suo cospetto nella situazione in cui ci troviamo in quel momento, ma non tollera che noi ci adattiamo ad essa.
È pronto a restituirci la dignità filiale, ma attende il nostro impegno, la nostra quotidiana conversione: è questo l’abito nuziale richiesto. E, badiamo bene, si tratta di una conversione quotidiana, cioè di una revisione e un lavorio continuo su noi stessi: passi piccoli ma costanti, intrecciati magari a qualche regressione, subito recuperata sotto la spinta della ferma volontà di corrispondere all’amore, alla cui mensa ci sentiamo invitati. Oggi verificherò il mio “guardaroba” spirituale: in che stato è il mio abito nuziale? Lo indosso o è rimasto chiuso nell’armadio? Fuori della metafora: è in me quotidianamente presente e attivo l’atteggiamento della conversione?

 

Lunedì 13 ottobre 2014 > Lunedì della Ventottesima Settimana del Tempo Ordinario

Liturgia della Parola > Gal 4,22-24.26-27.31-5,1; Sal 112; Lc 11,29-32

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

… è meditata

A volte dettiamo delle condizioni a Dio: siamo noi a dirgli cosa deve fare per esistere; e in questa rappresentazione di Dio si nasconde, il più delle volte, il bisogno del segno eclatante, del miracolo, anzi leghiamo il mondo del miracolo al mondo del divino, quasi come se Dio dovesse stravolgere ciò che va benissimo – la natura, il creato, l’ordine della creazione – per dimostrare di esistere. Gesù rifiuta questa visione miracolistica per sé e per Dio; anzi: appare piuttosto urtato dalla continua richiesta di segni e di prodigi, peraltro ancora molto diffuso ai nostri giorni. C’è sempre il bisogno di correre dietro le apparizioni e delle madonne piangenti; il Signore ci invita, piuttosto, ad imitare l’atteggiamento degli abitanti di Ninive e della regina del sud. I primi si convertirono alla predicazione di un profeta, e quanti profeti inascoltati percorrono ancora le strade della nostra città!, la seconda fece un lungo viaggio per verificare le notizie sulla immensa saggezza di Salomone. Guardiamo i segni intorno a noi, amici, la voce della predicazione che ascoltiamo ogni domenica e i gesti di bene e di saggezza che troviamo intorno a noi e, soprattutto, sappiamo riconoscere il grande segno di Giona che rimase tre giorni nel ventre della balena così come Gesù rimase tre giorni nel ventre della morte: il segno della Resurrezione, il più grande e definitivo dei segni che ci testimonia che davvero Gesù è il Figlio di Dio.

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E quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell’amore, dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero. Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza. Questo è importante: per mezzo della Croce di Cristo ci è restituita la speranza. La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! 

Papa Francesco

… è pregata

Signore Gesù, liberami dalla tentazione di cercare sempre segni a supporto della mia fede. Concedimi piuttosto la grazia necessaria per fidarmi della tua parola e non permettere che io ritardi continuamente la mia conversione. Signore, Maestro, donaci oggi di riconoscere i segni della tua presenza in ciò che faremo, nelle persone che incontreremo, e di stupirci, ancora e sempre, della tua amicizia.

MI IMPEGNA

Sappiamo riconoscere – noi i discepoli – i tanti segni della presenza del Maestro durante questa giornata; che non ci accada di abituarci a Dio, di essere inghiottiti dalla quotidianità. Lo stupore che ha convertito gli abitanti di Ninive alla predicazione di Giona, la curiosità della regina di Saba che si mise in cammino per incontrare il re d’Israele la cui sapienza era diventata leggendaria: questo l’atteggiamento che oggi ci è chiesto.

 

Martedì 14 ottobre 2014 > Martedì della Ventottesima Settimana del Tempo Ordinario

Liturgia della Parola > Gal 5,1-6; Sal 118; Lc 11,37-41

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro».

… è meditata

Gesù, invitato a casa di un fariseo, non compie le prescrizioni rituali prima del pasto. Questo comportamento gli procura severi giudizi. Gesù, accortosene, risponde al fariseo spostando la questione rituale su un altro piano, quello del cuore. E chiarisce che nella vita non conta l’apparire, fosse anche corretto, ma l’essere un uomo e una donna con il cuore misericordioso. Se il cuore è pieno di cattiveria anche l’agire sarà conseguente. Per questo, senza condannare l’agire, Gesù vuole ricondurre al cuore. Quello che conta è ciò che si ha nel cuore. A nulla vale osservare dei riti se poi si trasgredisce la giustizia e si è lontani dall’amore. Gesù esorta a “dare in elemosina quel che c’è dentro”, ossia a dare al mondo l’amore che è stato riversato nei nostri cuori. La ricchezza del discepolo non è la molteplicità dei riti che pratica, bensì avere un cuore misericordioso e pronto all’amore. Questo lo libera dai “guai” che si abbattono su coloro che amano solo se stessi e il proprio protagonismo.

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Tutta la nostra religione non è che religione falsa e tutte le nostre virtù non sono altro che fantasmi; e siamo soltanto degli ipocriti agli occhi di Dio, se non abbiamo quella carità universale per tutti, per i buoni come per i cattivi, per i poveri come per i ricchi, per tutti quelli che ci fanno del male, come per quelli che ci fanno del bene.

Giovanni Maria Vianney

… è pregata

Signore Gesù, liberami da ogni forma di ipocrisia; non permettere che mi fermi alle apparenze e aiutami ad essere autentico, capace cioè di superare ogni legalismo di facciata per vivere in pienezza le esigenze della carità sincera. Amen.

MI IMPEGNA

*              Apparire: sembra questo lo scopo della vita secondo la logica della società in cui viviamo. Gesù non la pensa affatto in questo modo. Tu da che parte stai?

*              L’elemosina che siamo chiamati a dare non è quella doverosa al fratello povero ma, soprattutto, quella molto più difficile di noi stessi. Diamo in elemosina la nostra stessa vita, regaliamola al Signore perché la faccia diventare testimonianza per i fratelli, spendiamoci per il Regno, il grande sogno di Dio.

 

Mercoledì 15 ottobre 2014 > Santa Teresa di Gesù, vergine e dottore della Chiesa

Nata nel 1515, fu donna di eccezionali talenti di mente e di cuore. Fuggendo da casa, entrò a vent’anni nel Carmelo di Avila, in Spagna. Faticò prima di arrivare a quella che lei chiama la sua «conversione», a 39 anni. Ma l’incontro con alcuni direttori spirituali la lanciò a grandi passi verso la perfezione. Nel Carmelo concepì e attuò la riforma che prese il suo nome. Unì alla più alta contemplazione un’intensa attività come riformatrice dell’Ordine carmelitano. Dopo il monastero di San Giuseppe in Avila, con l’autorizzazione del generale dell’Ordine si dedicò ad altre fondazioni e poté estendere la riforma anche al ramo maschile. Fedele alla Chiesa, nello spirito del Concilio di Trento, contribuì al rinnovamento dell’intera comunità ecclesiale. Morì a Alba de Tormes (Salamanca) nel 1582. Beatificata nel 1614, venne canonizzata nel 1622. Paolo VI, nel 1970, la proclamò Dottore della Chiesa.

Liturgia della Parola > Gal 5,18-25; Sal 1; Lc 11,42-46

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».

… è meditata

Al tempo di Gesù la vera religione si era deturpata a causa degli scribi, infedeli al loro mandato. Costoro sostituivano la Parola di Dio con le loro tradizioni, interpretazioni arbitrarie, false, menzognere. Erano divenuti dei veri giocolieri della Parola del Signore. Avevano tolto da essa il germe divino, il solo capace di vera salvezza, e al suo posto vi avevano inserito un germe di morte. Così facendo avevano reso irriconoscibile la Parola del Signore. Gesù rivela apertamente, pubblicamente questa loro infedeltà. Essi non sono servi della Parola. Si sono fatti padroni di essa. La loro infedeltà, parzialità, arbitrio è la causa di tutto il decadimento spirituale e morale del popolo di Dio. I «guai» scagliati dal Signore contro scribi, farisei e dottori della legge sono l’esatto opposto delle beatitudini. Queste sono frutto e conseguenza del bene riconosciuto, amato e praticato, quelle derivano invece dalle cattive azioni e particolarmente dalla falsità e dall’ipocrisia. Per questo Gesù paragona i suoi nemici a «sepolcri imbiancati», belli all’esterno, ma pieni di putredine all’interno. Viene condannata con particolare severità tutto ciò che è finzione ed ipocrisia nell’ambito religioso. Un dottore della legge, ascoltando le dure parole di Gesù contro il ritualismo farisaico, ribatte che in quel modo offende anche lui e tutti i suoi colleghi. Con questa reazione egli mostra che, in verità, ha ascoltato Gesù con l’orgoglio di chi deve difendere la sua posizione e non come un uomo bisognoso d’aiuto. È vero che la Parola di Dio, come dice Paolo, è come una spada a doppio taglio che penetra sin nelle midolla e che non lascia indifferenti. Ma se è ascoltata con l’orgoglio e l’autosufficienza di chi vuole difendere se stesso viene sentita come un rimprovero che offende e non come una forza salutare e buona che cambia il cuore.

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I cristiani che vivono per apparire, per la vanità, si pavoneggiano! E dicono «ma io sono cristiano, io sono parente di quel prete, di quella suora, di tal vescovo; la mia famiglia è cristiana, siamo bravi tutti». Ciò che invece conta non è vantarsi di qualcosa. Perché l’essenziale è solo la tua vita col Signore. «Come preghi? Come va la tua vita nelle opere di misericordia? Tu fai le visite agli ammalati?». Insomma, bisogna andare al sodo, guardare la realtà, si deve puntare alle cose consistenti. Invece la vanità è bugiarda, è fantasiosa, inganna se stessa, inganna il vanitoso.

Papa Francesco

… è pregata

Donaci, Signore, autenticità di cuore, di non trascurare la norma riempiendola però d’amore, di non sentirci maestri ma fratelli, di non avere paura quando, attraverso la vita, ci chiedi di cambiare atteggiamento. Tu ci ami, Signore, ogni giorno e per l’eternità.

 

MI IMPEGNA

Hai visto un campo di grano in piena maturazione? Potrai osservare che certe spighe sono alte e rigogliose; altre, invece, sono piegate a terra. Prova a prendere le alte, le più vanitose, vedrai che queste sono vuote; se, invece, prendi le più basse, le più umili, queste sono cariche di chicchi. Da ciò potrai dedurre che la vanità è vuota.

Padre Pio da Pietrelcina

 

Giovedì 16 ottobre 2014 > Giovedì della Ventottesima Settimana del Tempo Ordinario

Liturgia della Parola > Ef 1,1-10; Sal 97; Lc 11,47-54

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito». Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

… è meditata

L’ipocrisia ha svariate sfaccettature e spesso è subdola, si maschera di zelo e si ammanta di religiosità. Il Signore vede e denuncia tali comportamenti. È segno di falsità costruire belle tombe per i profeti, che hanno perseguitato e ancora rifiutato. Si stanno comportando allo stesso modo nei confronti del Cristo; anche per lui, giorno dopo giorno, stanno costruendo una tomba dopo aver tramato tante volte contro di Lui e dopo un’assurda e riprovevole condanna. È davvero triste la sorte del popolo prediletto: Dio lo ha scelto, si è posto personalmente alla sua guida, ha mandato i suoi messaggeri di verità, ha infine inviato lo stesso suo Figlio, ma ancora lo ha trovato pronto al rifiuto, alla persecuzione alla condanna. Di tutto però bisogna alla fine rendere conto a Dio. È grave per l’essere umano rifiutare il suo amore, non accogliere i suoi inviati, tradire la sua verità. I falsi profeti di ogni tempo hanno una colpa più grave perché usano la maschera per camuffarsi come inviati di Dio. Pretendono di essere i depositari e gli interpreti unici della verità, mentre invece essi non sono in grado di scoprirla e impediscono agli altri di entrarvi nella vera luce. Lo stesso Cristo ci mette in guardia da loro: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete».

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La vita senza amore potrebbe avere queste conseguenze:
L’intelligenza senza amore

ti renderebbe insensibile.
La giustizia senza amore

ti renderebbe ipocrita.
Il successo senza amore

ti renderebbe arrogante.
La ricchezza senza amore

ti renderebbe avaro.
La docilità senza amore

ti renderebbe servile.
La bellezza senza amore

ti renderebbe superbo.
L’autorità senza amore

ti renderebbe tiranno.
Il lavoro senza amore

ti renderebbe schiavo.
La preghiera senza amore

ti renderebbe arido.
La fede senza amore

ti renderebbe fanatico.
La croce senza amore

si convertirebbe in tortura.
La vita senza amore

non avrebbe alcun senso.

… è pregata

O Padre, non permettere che sia io il motivo dello scandalo e dell’allontanamento degli uomini dal tuo Figlio. Non lo potrei sopportare. Tu sostienimi nella via del bene. Amen

 

MI IMPEGNA

La tentazione sottile, per noi cristiani, è quella di apparire cristiani anziché esserlo veramente, scendendo a patti con le ideologie e con le mode di questo mondo, perché a volte vogliamo piacere più agli uomini che a Dio: è necessario sforzarci di essere strumenti docili nelle mani del Signore: cosa impossibile senza un impegno costante – non importa se faticoso – per un’autentica purificazione interiore, che sola può dare alle nostre opere esterne il senso che ad esse Dio vuol dare, quello, cioè, di essere segni della sua bontà e della sua misericordia.

S. Giovanni Paolo II

Venerdì 17 ottobre 2014 > Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d’Egitto e di cui san Pietro era stato il primo vescovo. Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima. Mentre era vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve. Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l’unità della Chiesa. Di un’altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio. Nell’anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza.

Liturgia della Parola > Ef 1,11-14; Sal 32; Lc 12,1-7

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze. Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».

… è meditata

Molta gente si raccoglieva attorno a Gesù; erano migliaia, scrive Luca, tanto da “calpestarsi a vicenda”. Coloro che accorrevano avevano un grande bisogno di conforto e di speranza, e in Gesù trovavano una risposta. Non così i farisei i quali, soddisfatti di se stessi, non riconoscevano a Gesù alcuna autorevolezza sulla loro vita. Erano convinti di non aver bisogno di lui. Ebbene, Gesù mette in guardia i discepoli e la folla da questo spirito farisaico di autosufficienza. Il Vangelo è per tutti, va quindi predicato “sui tetti”, anche se questo può costare rifiuto e opposizione. Gesù lo sperimentava già su di sé; e avvertiva i discepoli che sarebbe accaduta la stessa cosa anche a loro. Ma non bisogna perdersi di coraggio e tanto meno temere coloro che possono uccidere il corpo, ma non il cuore. Quelli che uccidono il cuore, invece, sono da fuggire perché, strappando l’anima dal Vangelo, tolgono senso alla vita. Il Signore, che è padre della vita, difenderà i suoi figli e non permetterà che nessuno perisca. Questa fiducia è l’eredità che ci lasciano i tanti martiri (pensiamo a quelli del Novecento) affinché anche noi viviamo un amore che non conosce limiti.

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“Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo.  Piuttosto accarezzate le fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo ed io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio”.

… è pregata

Signore Gesù, che conosci i cuori di tutti, liberami dalle insidie della ipocrisia. Poiché non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, aiutami a deporre fin d’ora ogni possibile maschera, e a vivere sotto il tuo sguardo con autentica semplicità. Amen.

MI IMPEGNA

Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a Colui per il quale militate e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro Battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un’armatura.

S. Ignazio di Antiochia

 

Sabato 18 ottobre 2014 > San Luca, evangelista

Figlio di pagani, Luca appartiene alla seconda generazione cristiana. Compagno e collaboratore di san Paolo, che lo chiama «il caro medico», è soprattutto l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Al suo Vangelo premette due capitoli nei quali racconta la nascita e l’infanzia di Gesù. In essi risalta la figura di Maria, la «serva del Signore, benedetta fra tutte le donne». Il cuore dell’opera, invece, è costituito da una serie di capitoli che riportano la predicazione da Gesù tenuta nel viaggio ideale che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. Anche gli Atti degli Apostoli descrivono un viaggio: la progressione gloriosa del Vangelo da Gerusalemme all’Asia Minore, alla Grecia fino a Roma. Protagonisti di questa impresa esaltante sono Pietro e Paolo. A un livello superiore il vero protagonista è lo Spirito Santo, che a Pentecoste scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli Ebrei e ai pagani. Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana così come ha preso atto che la venuta del Signore non è imminente. Dischiude dunque l’orizzonte storico della comunità cristiana, destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo. Secondo la tradizione, Luca morì martire a Patrasso in Grecia.

Liturgia della Parola > 2Tm 4,9-17; Sal 144; Lc 10,1-9

La parola del Signore … è ascoltata

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!». Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio».

… è meditata

Luca è un tipo straordinario: è di Antiochia, ha conosciuto Gesù attraverso la predicazione di Paolo e lo ha seguito in alcuni suoi viaggio missionari, è una persona colta, forse un medico, e scrive un’opera storica imponente sulla vita di Gesù e sulle origini della comunità cristiana. Il suo modo di scrivere è raffinato e lineare: si percepisce che ha una solida cultura di base. Se non avessimo il suo vangelo non conosceremmo la parabola del Buon Samaritano, della pecora perduta, non sapremmo chi sono il buon ladrone e Zaccheo, ci sfuggirebbe il particolare che Gesù era seguito e mantenuto da un gruppo di discepole, non sapremmo di quella adolescente di Nazareth, Maria, chiamata a diventare la porta d’ingresso per Dio nel mondo… e soprattutto non avremmo la pagina più eclatante del vangelo, quella di quei due figli famosi, uno che fugge e torna, l’altro indispettito dall’atteggiamento del Padre che ci svela il vero volto di Dio. Dante chiamava Luca scriba mansuetudinis Christi, lo scriba della mansuetudine di Cristo ed aveva colto nel segno. Luca ci introduce a Cristo con affetto e passione. Ha scritto il suo vangelo su suggerimento di Paolo, il suo evangelizzatore. Da Paolo ha preso la forza e la correttezza storica, l’impegno e la serietà dell’impresa. Ma la tenerezza è tutta sua, la compassione che ha conosciuto, credendo in Cristo, solo lui riesce a comunicarla. Il suo vangelo, allora, è pieno di sfumature, di positività, di luce. È il vangelo per chi vuole uscire dalla visione piccina e ossessiva di un Dio giudice. È il vangelo per chi vuole imparare a pregare, attento com’è, Luca a farci vedere Gesù Maestro di preghiera. È il vangelo della Chiesa che deve imparare ad evangelizzare. È il vangelo di chi, come lui, Luca, non ha mai visto Gesù in faccia ma è stato introdotto alla fede da qualcun altro. Come noi. Luca ci sostiene con la sua testimonianza, invita tutti noi a diventare Chiesa così come egli l’ha conosciuta, a osare la Chiesa così come egli l’ha imparata. Ha seguito Cristo seguendo Paolo, ha conosciuto le colonne, ha imparato a gestire la novità delle prime comunità, ha accolto con entusiasmo lo Spirito, ha lasciato che dalle sue parole trasparisse la luce di Dio. Grazie di cuore, caro Luca!

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Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro (…) Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.

Dietrich Bonhoeffer

… è pregata

Signore Gesù la messe seminata da te è abbondante, ma davvero, oggi, gli operai sembrano venir meno. Non credo che tu non chiami, ma forse non sentiamo la tua voce e così vengono meno le vocazioni al matrimonio cristiano e alla consacrazione sacerdotale e religiosa.. Ti chiedo, Signore di suscitare uomini e donne così amanti di te che possano infiammarci tutti con la bellezza di una vita vissuta intimamente con te.

MI IMPEGNA

Gesù.<< Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste >>.

                                                                                                     Evangelo secondo San Luca

 

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